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LA STORIA
PREISTORIA
Le buone condizioni ambientali dovute anche alla modesta altitudine, la buona qualità dei
terreni, i facili pendii e la presenza di numerosi ripari naturali, favorirono gli insediamenti
umani fin dalle epoche remote. Le tracce umane più antiche nelle Valli del Natisone sono state
scoperte proprio nel territorio del comune di San Pietro, presso il Natisone e nella piana
circostante. I recenti scavi (1982-1984) eseguiti a Biarzo in una grotta naturale in prossimità del
Natisone, vicino al vecchio mulino, hanno portato alla luce manufatti risalenti al paleolitico
superiore ed al neolitico.
Gli insediamenti preistorici sono testimoniati in varie località, con una prevalenza assoluta
del territorio del comune di San Pietro. Si tratta in gran parte di reperti dell'età del bronzo
(1800-900 a.C.). A San Pietro in varie epoche vennero alla luce asce di bronzo, una falce messoria,
un cerchietto di rame e, nei pressi di Vina, vennero dissotterrate sedici tombe ad incinerazione
con fibule di bronzo, braccialetti e punte di freccia di selce.
Va menzionata pure la presenza di una pista carovaniera che da Cividale risaliva lungo il
Natisone a Caporetto, congiungendosi così alle vie dell'ambra. Esse collegavano con un lungo
sistema viario il Mare del Nord con l'Adriatico. Di notevole interesse è la grossa lastra di pietra
di Biacis che viene riconosciuta, come unico esemplare della nostra provincia, fra le incisioni
rupestri preistoriche dell'arco alpino. Essa presenta disegni incisi di carattere simbolico e
propiziatorio con forme antropomorfe, a raggiera, a croce, a tria, ed altre ancora, di non facile
interpretazione. La lastra venne utilizzata nel medioevo, come tavolo per le sedute delle
cosiddette Banche di Antro,Merso e dell’Arengo. La scoperta più importante fu quella dovuta ad uno
scavo del 1908-1909 che portò alla luce una vera e propria necropoli con 67 tombe. Un'ascia fu
rinvenuta anche a Vernassino.
Un discorso a parte va fatto per i castellieri preromani che vengono datati alla seconda età
del bronzo. Uno di questi venne costruito sfruttando il terrazzo naturale del terreno, proprio alla
confluenza dell'Erbezzo con il Natisone in località Ponte S.Quirino. Un secondo fu quello di Barda,
il colle fra Azzida e San Quirino dove si stanno scoprendo le rovine di insediamenti Romani.
VENETI, CELTI, ROMANI
L'età dei metalli lasciò non poche testimonianze in varie località delle Valli del
Natisone. Le prime popolazioni colonizzatrici con un nome proprio furono probabilmente quelle dei
Veneti, altrove chiamati con varie denominazioni come Enetoi, Venedi e nel nord anche Windi. Si
ritiene che giungessero da un'ampia area dell'Europa centrale e transcarpatica intorno al IX secolo
a.C. Occuparono una vasta zona attorno Padova, Vicenza ed Adria, la Valle del Piave, il Cadore e la
Valle del Gail, la regione Isontina da Caporetto a Santa Lucia e la regione giuliana di Redipuglia,
San Canziano e San Servolo. I Celti-Galli, che nel X secolo si trovavano sul Danubio ed sul Reno,
nel V secolo occuparono la Francia e la Britannia, l'Irlanda e penetrarono in Spagna. Alla fine del
V secolo entrarono in Italia dalle Alpi occidentali e nel 390 a.C. presero e bruciarono Roma.
Attorno al 400 a.C. le tribù celtiche dei Carni giunsero in Friuli, in Cadore e lungo
l'Isonzo. Bellicosi, armati di spade di ferro a doppio taglio e scudo, combattevano a cavallo e
furono come una marea che sconvolse l'Europa. Rappresentarono la base etnico-culturale del Friuli e
nella regione alpina orientale diedero il nome alla Carnia, alla Carinzia e alla Carniola. Usarono
tombe a tumulo e dai sepolcri si dedusse un loro alfabeto costituito di tacche lineari. Nelle Valli
del Natisone si attribuiscono ai Carni alcuni reperti preistorici di San Quirino, Azzida, Savogna e
Vernassino. Con la fondazione del Forum Iulii, l'attuale Cividale, già celtica, le Valli del
Natisone assunsero per i Romani notevole importanza per ragioni strategiche e militari. Accrebbe
l'importanza della strada che da Aquileia, con il suo sbocco sul mare, portava alla valle dell'alto
Isonzo e più su verso il Predil a Santicum (Villaco), ricalcando la strada dell'ambra. I Romani
utilizzarono e rafforzarono anche le posizioni difensive preesistenti costruendovi un vallo
militare, presumibilmente tra il Monte Roba e la località di Vernasso.
LONGOBARDI E SLAVI
L'influenza dei Longobardi in Italia (che la divisero con i Bizantini) e soprattutto nel
Friuli romano, fu straordinaria. Le due culture si fusero insieme in modo da caratterizzare
l'evoluzione futura del Friuli, negli usi, nella lingua e nella toponomastica. Eredità importante e
duratura fu l'organizzazione prefeudale in numerosi istituti che si perfezionarono nei secoli
successivi. Alboino, re dei Longobardi, forte di trecento mila persone fra guerrieri, donne, vecchi
e bambini, varcò le Alpi orientali nella primavera del 568. Aggirò Cividale da sud e la conquistò.
Proseguì la marcia, ma lasciò in città Gisulfo, che fu il primo duca longobardo in Italia. Il
ducato longobardo del Friuli ebbe confini più o meno ampi in tempi vari.Non altrettanto rilevante
l'influenza Longobardi nelle Valli del Natisone. Il primo segnale di questa presenza. fu l’assedio
e la presa di Cividale nel 610da parte degli Avari, cui si erano aggregati gli Slavi. La
colonizzazione slava nelle Valli del Natisone, all'estremo ovest di una vastissima regione europea,
fu stabile, intensa e duratura, soprattutto dopo la stipula del trattato con i Longobardi che
definiva il confine tra le due Comunità, noto come “Lines longobardo rum”. Ebbe carattere
definitivo perchè si intensificò nei secoli successivi, trovando i modi di adattamento atti alla
conservazione dei propri caratteri. La comunità, ormai radicata in questo territorio,seguì la
successiva evoluzione degli Slavi delle Alpi verso un'identità etnico-linguistica autonoma e
distinta, quella slovena. Ciò avvenne a partire dall'XI secolo.
IL PATRIARCATO DI AQUILEIA
Alla fine dell'VIII secolo intervenne in Europa un profondo mutamento politico con
l'espansione dei Franchi. L'avvento del Sacro Romano Impero e poi dell'Impero Germanico ebbero una
influenza rilevante anche in Italia e in Friuli, dove gli sviluppi della nuova situazione furono
determinanti. Il risultato politico più importante nell'Italia del Nord fu l'ascesa del Patriarcato
di Aquileia a dignità statale, attraverso una serie di atti del1'autorità imperiale e di disinvolte
manovre politico-militari dei patriarchi. Le une e le altre toccarono da vicino anche le Valli del
Natisone. Il susseguirsi degli eventi registra la calata in Italia di Carlo Magno, re dei Franchi,
nel 773. Presa Pavia nel 774 battendo i Longobardi, Carlo Magno lasciò in vita il ducato longobardo
di Cividale. Ma il duca ebbe la cattiva idea di ribellarsi e fu sconfitto sul Piave. Allora il
Friuli divenne una contea franca. Negli anni successivi il Friuli venne incluso politicamente nel
ducato di Baviera e quindi nel ducato di Carinzia, già Carantania. Fra le gastaldie più importanti
ci fu quella di Cividale. All'interno di essa vi erano invece numerosi feudi nobiliari ed
ecclesiastici minori. La Gastaldia di Antro, che comprendeva buona parte delle Valli del Natisone,
aveva una amministrazione distinta. I coloni slavi in Friuli si insediarono, fin oltre il
Tagliamento in modo particolare dopo le scorrerie degli Ungari al fine di ripopolare un’area
devastata dalla violenza dalle invasioni. Di tale colonizzazione rimane solo la documentazione
storica, numerose tracce nella toponomastica locale e nel lessico friulano e veneto. Non fu cosi
nelle Valli del Natisone dove la conservazione dei caratteri etnico-culturali venne favorita dalla
continuità del territorio con la Gastaldia di Tolmino, la Conteà di Gorizia e la Carniola,
dall'intensità dell' insediamento e dall' originale organizzazione sociale ed economica.
Nella Schiavonia apparve nel periodo patriarcale una seconda istanza, quella delle due
Contrade, rispettivamente di Antro e di Merso. Queste erano costituite dalle assemblee dei decani
delle rispettive vicinie. Esse regolavano le questioni interne alle due contrade, eleggendo
ciascuna un decano grande. Le contrade esercitarono in parte anche la giurisdizione civile e penale
maggiore.
LA REPUBBLICA DI VENEZIA
La Repubblica di Venezia cominciava ad interessarsi alle coste istriane e alla terraferma.
Verso la fine del XIV secolo, ebbe modo di entrare direttamente nelle lotte interne del Friuli, che
videro da un lato Udine con una lega appoggiata da Venezia e dall'altra il Patriarca con i suoi
alleati. L'impegno veneziano in Friuli crebbe e diventò sempre più forte quando il patriarca chiese
l'appoggio degli ungheresi. Nel 1418, durante una delle innumerevoli guerre, il patriarca scese
lungo il Natisone con seimila ungheresi, prese le fortezze di Antro e di Castelmonte, devastò i
paesi lungo il fiume. Fece bombardare per quindici giorni Cividale, ma questa resistette. La guerra
si concluse rapidamente nel 1420, quando l'esercito veneziano sottomise le città friulane sia con
la forza, sia ottenendone la resa, sia pagandone un prezzo in denaro. Nello stesso anno l'armata
veneziana risalì il Natisone da Cividale verso Plezzo eTolmino. Il rapporto della Schiavonia,
costituita dalle convalli di Antro e Merso, con la Serenissima fu singolare e in un certo senso
perfino moderno. Tuttavia il fatto rilevante fu la ripetuta conferma della considerazione della
Schiavonia come nazione diversa e separata dal Friuli. Nonostante la palla di piombo al piede
rappresentata dall'assetto feudale, la Schiavonia riuscì a organizzarsi un sistema amministrativo
autonomo ed organico. I centri tradizionali di Antro e Merso e San Pietro de' Schiavoni assursero
alla piena dignità di centri politici. Il fatto è che l'accorta politica veneziana aveva constatato
l'importanza di avere dalla sua parte una comunità amica, nel momento in cui si trovava
direttamente confinante con l'Austria e la Contea di Gorizia. Capitolo a parte dovrebbero avere i
tragici eventi che periodicamente si abbatterono sul Friuli e sulla Schiavonia. Alle guerre
veneto-austriache ed alle incursioni turche, si aggiunsero i terremoti, fra cui quello disastroso
del 1511, e le pestilenze.
LE GUERRE NAPOLEONICHE
A sconvolgere le antiche istituzioni della Schiavonia sopravvennero la rivoluzione francese e
le guerre napoleoniche. Trovandosi in mezzo fra Napoleone e l'Austria, la Repubblica di Venezia
scelse la neutralità. Questo non impedì che ancora una volta il territorio veneziano e in primo
luogo il Friuli diventassero teatro di guerra. La Serenissima cadde per sempre. Napoleone portò con
le sue armate il programma della rivoluzione in Europa ed in Italia: libertà, fraternità ed
uguaglianza. I territori tra l'Isonzo e il Tagliamento sotto l'amministrazione francese, che non
ebbe lunga vita, formarono il Dipartimento di Passariano. Esso era ripartito in quattro distretti,
fra cui quello di Cividale, a loro volta divisi in cantoni. Tra questi figurò il Cantone di San
Pietro degli Slavi. Il cantone comprendeva nove comuni, ottenuti con l'aggregazione di alcune
ville. Quattro furono i comuni della Contrada di Antro: San Pietro, Savogna, Rodda e Tarcetta;
cinque della Contrada di Merso: San Leonardo, Stregna, Grimacco, Drenchia e Luico. Le contrade però
rimasero solo un nome. Ogni comune era diretto da un sindaco e da un consiglio. A San Pietro
vennero istituiti gli uffici principali: il delegato governativo, il facente funzioni del
commissario di polizia, la commissione cantonale di leva, la giudicatura di pace. l titolari erano
tutti persone del luogo. Nel 1813 Napoleone cadde e il Friuli venne di nuovo occupato dagli
austriaci e nel 1814 la nuova linea di confine ricalcò più o meno quella veneta. Essa durò fino al
1866. Passarono sotto Gorizia: Bergogna, Robedischis e Luico.
L'AUSTRIA
Le istituzioni autonome della Slavia vennero soppresse definitivamente con la costituzione
del Regno Lombardo Veneto, nel 1814, di cui fece parte la provincia del Friuli. Ci fu tuttavia un
progettò, anzi un decreto imperiale del 3 agosto 1816, che disponeva l'istituzione del nuovo Regno
dell' Illiria in cui dovevano essere inclusi il goriziano, il distretto di Gradisca e quello di
Cividale con la Slavia. Nonostante il decreto, il progetto non venne mai attuato ed il confine
rimase quello del 1814. San Pietro degli Slavi divenne capoluogo dell'omonimo distretto della
provincia. A capo del distretto,che rimase ripartito negli otto comuni istituiti dai francesi,
venne posto un imperial regio commissario, con sede a San Pietro. Il commissario presiedeva i
consigli comunali ed autorizzava solo le spese proporzionate al patrimonio comunale.
Il periodo della dominazione austriaca non può, come abbiamo detto, essere dipinto tutto di
nero. Nel 1839 l'Austria emise una risoluzione sovrana che prevedeva l'abolizione dei terreni
comunali, detti comugne (in sloveno kamunje). Nel 1848 la risoluzione venne sanzionata e venne
ordinata ai comuni la divisione di quei terreni. Circa i criteri di suddivisione vennero sentite le
amministrazioni comunali. Esse formarono i lotti tra il 1848 ed il 1849 e li posero all'asta negli
anni successivi.
L'ITALIA
LA PRIMA GUERRA MONDIALE
La prima guerra mondiale ebbe Come teatro delle operazioni fra l'Italia e l'Impero
austro-ungarico anche le Valli del Natisone. Ciò all'inizio della guerra e poi con lo sfondamento
di Caporetto. Per tutta la notte del 24 maggio 1915 le ragazze del collegio di San Pietro gettarono
fiori sui soldati che andavano al fronte. Al passo di Solarie vi fu il primo caduto italiano. Da
questo fronte del Colourat partì l'attacco italiano che portò l'esercito italiano oltre l'sonzo.
L'Istituto Magistrale ospitò le truppe italiane di passaggio e poi un ospedale per i feriti. Sul
fronte del Carso le vittorie furono altrettanto importanti con la presa di Gorizia. Tuttavia la
guerra doveva essere lunga e sanguinosa, sfiorando la tragedia con la disfatta di Caporetto, dovuta
ad una offensiva congiunta degli austro-ungarici e dei tedeschi. Il 24 ottobre 19171a XIV armata
austro-germanica al comando del generale Otto von Below, superato l'Isonzo con fulminei colpi di
mano, raggiunse il dorso del Colourat espugnando una alla volta, aggirandole,le poderose difese
italiane e avanzò in giornata oltre Caporetto. Dal giorno seguente ognuno dei nostri paesi, dei
nostri monti e dei nostri fiumi entrò nelle cronache militari. Gli invasori procedettero lungo i
dorsali delle montagne, scendendo a valle quando le posizioni più elevate venivano espugnate,
spesso incontrando un' accanita resistenza dei soldati italiani. Così gli invasori dilagarono nelle
Valli del Natisone: il Matajur era conquistato nel pomeriggio del 25 ottobre, Azzida e San Pietro
venivano occupate prima che si facesse giorno, il 27 ottobre. Lo stesso giorno gli invasori
entravano in Cividale. L'indomani, nel pomeriggio,erano a Udine.
Come il Friuli ed il territorio occupato fino al Piave, le Valli del Natisone subirono per un
anno l'occupazione austro-ungarica e tedesca. Poichè l'Austria era convinta di poter vincere anche
sul Piave, fu fatto qualche pensierino circa il ritorno del Friuli, o perlomeno della Benecia
all'Impero. Furono delle mezze idee, perchè si preferì attendere la fine della guerra.
Le cose andarono diversamente. Sul Piave e sul Grappa l'esercito italiano trovò le energie
per arrestare la marcia degli invasori e, un anno dopo, per respingerli e metterli a sua volta in
fuga, con una vittoria ancora più clamorosa della sconfitta del 1917. L'Italia annesse nuovi
territori. Entrarono a far parte del Regno d'Italia duecentocinquantamila tedeschi dell'
Alto-Adige, del Trentino e della Valcanale e mezzo milione di sloveni e di croati della Venezia
Giulia del litorale sloveno, dell'Istria e della Dalmazia. Questo ripropose in modo ancora più
serio i problemi del 1866.
IL FASCISMO E LA GUERRA
La guerra sconvolse gli assetti politici e sociali dei paesi europei: scomparvero quattro
imperi: l'impero di Russia, l'impero ottomano, l'impero austro-ungarico e l'impero germanico. Con
essi caddero monarchie secolari, mentre le distruzioni, i lutti e le privazioni causate dalla
guerra sfociarono in scioperi, rivolte, insurrezioni. In diversi paesi si tentò la strada della
rivoluzione russa. In Italia i contrasti sociali divennero acutissimi. Si conclusero, a causa delle
violenze delle squadre armate delle camicie nere, dei Fasci di Combattimento, delle divisioni della
sinistra e della compiacenza della monarchia, con la presa del potere da parte di Benito Mussolini
e del suo Partito Nazionale Fascista. In seguito a ciò ben presto egli abolì le garanzie
costituzionali, gli organismi elettivi e legislativi ed instaurò la dittatura.
Essa fece scuola anche in altri paesi e perfino oggi sono al potere regimi, il cui modello è
quello dello stato fascista italiano, che durò dal 1922 al 1943. Seguì il modello italiano,
portandolo ad estreme conseguenze, la Germania, dove prese il potere Hitler con il Partito
Nazionalsocialista. Anche le Valli del Natisone come tutta la Slavia, assistettero ad una ulteriore
perdita di autonomia, quando vennero soppressi i consigli comunali ed i sindaci eletti vennero
sostituiti con i potestà, di nomina regia. L'ideologia fascista ebbe una. ,presa modesta nelle
Valli del Natisone, un po di più nel centri del fondovalle come San Pietro, dove era venuto a
formarsi un ceto che esprimeva, per cultura, interessi ed ideali e, soprattutto per il
martellamento della propaganda nelle scuole, una certa adesione al nuovo regime. D'altronde il
consenso era obbligatorio. Molti giovani furono attratti dalla nuova ideologia. Il veicolo
principale ne erano le organizzazioni del fascismo e la scuola, dove le menti dei bambini e dei
giovani venivano indottrinate quotidianamente.
La rete scolastica venne allargata a tutti i villaggi, e nei capoluoghi di comune si istituì
il ciclo elementare completo. Non sempre la scuola fu in grado di dare un'istruzione sufficiente,
ma l'analfabetismo si ridusse. Dal 1923 l'istituto magistrale venne aperto anche agli alunni maschi
e nel 1932 venne completata la costruzione dell'imponente nuovo edificio di stile classicheggiante.
Con l'incalzare dell'attività aggressiva e bellicistica dell'Italia, ormai al seguito della follia
hitleriana, alle difficoltà quotidiane si aggiunsero i sacrifici, i lutti ed i disagi di guerre di
aggressione in paesi lontani e sconosciuti: Albania, Francia, Grecia, Jugoslavia, Africa URSS. : I
giovani delle Valli del Natisone erano per lo più inquadrati nella divisione alpina Julia e
affrontarono con coraggio durissime prove in condizioni ambientali e logistiche estremamente
difficili. Molti caddero su tutti i fronti. Ciò determinò nella nostra popolazione una profonda
avversione per la guerra ed il fascismo. L'andamento disastroso delle operazioni belliche, che
causò l'invasione dell'Italia meridionale da parte degli anglo-americani e il calvario della
campagna di Russia, conclusasi con la tragica ritirata dal Don, determinarono anche qui, se ce ne
fosse stato bisogno, la definitiva ripulsa del fascismo.
LA RESISTENZA
Un'ultima drammatica prova fu vissuta dalla popolazione delle Valli del Natisone quando la
guerra, in modo del tutto imprevisto, si spostò anche in questo territorio, nei nostri paesi, sulle
nostre montagne. La capitolazione dell'Italia era ormai una soluzione inderogabile, ma la firma
dell'armistizio senza condizioni dell' 8 settembre 1943 avvenne in circostanze tali da provocare
l'immediata reazione hitleriana e l'occupazione tedesca della parte settentrionale della penisola.
Nei giorni immediatamente successivi alla firma dell'armistizio ci fu un consistente movimento di
giovani in alcuni centri delle Valli del Natisone. Parte di questi si avvicinarono ai reparti
partigiani sloveni che ormai avevano portato la guerra contro il fascismo di qua dal confine del
1866. Altri giovani tentarono di dar vita reparti autonomi, una specie di guardia civica con li
compito di opporsi a qualsiasi esercito straniero. Questo tentativo fallì con il primo
rastrellamento tedesco del 6 ottobre 1943. A fasi alterne, coincidenti per lo più con l'andamento
stagionale e con la più vasta strategia bellica, le Valli del Natisone videro prevalere l'uno o
l'altro degli schieramenti avversari. Per quanto non in modo stabile e definitivo, parte del
territorio rimase comunque in mano dei partigiani, parte in mano dei tedeschi e dei soldati
italiani reclutati nell'esercito fascista della Repubblica Sociale Italiana, la cosiddetta
Repubblica di Salò. In montagna prevalsero i partigiani, nei fondovalle i tedeschi ed i fascisti.
Un capitolo particolare è quello dell'occupazione cosacca. I cosacchi erano stati trasferiti
dai loro paesi dai tedeschi, che avevano fatto balenare loro il sogno di una terra promessa in
Italia. Erano giunti con i loro cavalli, i loro carri e le loro famiglie. Presero alloggio in
numerosi paesi, Biacis, Oculis, Vernasso,Azzida, San Pietro, San Leonardo, caricando sulla
popolazione il peso di nuove minacce, angherie e requisizioni di foraggi, viveri e vino. Non erano
un esercito temibile. Erano terrorizzati, perché si accorgevano di essere caduti in una trappola
senza scampo. Lontani dalle loro steppe, cercarono perfino di stabilire un dialogo con la
popolazione, con la quale, grazie alla parentela linguistica, riuscirono ad intendersi.
L'occupazione straniera fu dura. I tedeschi, con la collaborazione dei fascisti, effettuarono
rastrellamenti, bombardamenti, incendi, sparatorie, irruzioni nei paesi e nelle case, che si
concludevano con uccisioni e deportazioni nei campi di sterminio in Germania. Nonostante vi fossero
inseriti gruppi locali, fu mal tollerata anche la presenza dell'esercito partigiano jugoslavo, in
primo luogo perchè questa presenza poteva in ogni momento provocare la reazione nazifascista. Ma la
ragione principale fu la propaganda per l'annessione alla Jugoslavia. Tale propaganda non tenne
conto che l'adesione della Benecia all'Italia non aveva un carattere contingente, ma storico. Dal
fatto che i partigiani sloveni avessero annunciato l'annessione, discendevano ordini intollerabili
quali l'imposizione dell'arruolamento obbligatorio dei giovani nelle loro file, la sostituzione
degli insegnanti e la chiusura degli uffici. Questo portò a contrasti profondi. Il che indusse i
partigiani sloveni ad applicare misure coercitive, provocando malcontento e opposizione. Nell'una e
nell'altra parte del territorio si moltiplicarono gli scontri armati fra tedeschi e fascisti da un
lato, partigiani dall'altro.
A San Pietro al Natisone e a Ponte San Quirino, capisaldi dei tedeschi, per lunghi periodi
gli scontri furono quotidiani. Fortini murati, da cui spuntavano le canne delle mitragliere, furono
eretti perfino in centro del paese. I ponti di Vernasso e San Quirino furono fatti saltare dai
partigiani. Gli acquedotti vennero distrutti. Il livello dell'acqua, trattenuta dalle macerie, era
salito in modo impressionante.A San Pietro, salvo qualche episodio isolato, tutto si concluse il 28
aprile 1945, quando i soldati della Repubblica Sociale fecero causa comune con i partigiani. Il
primo maggio i partigiani entrarono combattendo in Cividale. L'indomani vi giunsero le colonne
motorizzate dell'esercito britannico. La seconda guerra mondiale per noi era finita.
DALLA LIBERAZIONE AD OGGI
La prima questione che riguardò la Benecia nel dopoguerra fu quella del nuovo confine fra
l'Italia e la Jugoslavia. Le proposte erano diverse, tutte basate sull'accordo che l'Italia avrebbe
dovuto cedere alla Jugoslavia almeno una parte dei territori conquistati all'Austria nel 1918. Il
disaccordo fra le grandi potenze riguardava l'entità delle perdite. Americani e inglesi erano
nettamente favorevoli all'Italia e avrebbero volentieri limitato al minimo le sue perdite
territoriali. L’URSS invece appoggiava le richieste della Jugoslavia che chiedeva Trieste, Gorizia,
la Benecia e la Valcanale, comprendendo nel suo territorio Cividale e Tarcento. La Francia
parteggiava per una soluzione di mezzo: Trieste, Gorizia e la Benecia all'Italia l'Istria alla
Jugoslavia. Venne istituita una commissione alleata perché si rendesse conto sul posto della
volontà delle popolazioni. Non ci furono grandi novità rispetto alle previsioni, ma non mancò
qualche incidente. Infine alla conferenza di pace che si svolse a Parigi. Nel 1946 venne adottato
un compromesso sulla base della proposta francese con alcune importanti modifiche. Trieste non
venne assegnata né all'Italia né alla Jugoslavia e, con i comuni del Carso e il territorio di
Capodistria, venne inclusa nel Territorio Libero di Trieste, una specie di staterello sottoposto
all'amministrazione alleata. L 'idea non venne mai realizzata del tutto. Così il Territorio Libero
di Trieste rimase in parte sotto l'amministrazione angloamericana, zona A, e in parte sotto quella
jugoslava, zona B. Una soluzione venne trovata nel 1954 dopo una crisi nei rapporti
italo-jugoslavi, con il Memorandum di Londra, quando la zona A con Trieste venne affidata
all'amministrazione Italiana. L'attesa diffusa della popolazione delle Valli del Natisone fu
soddisfatta: la Benecia restava unita al Friuli e all'Italia. Questo non fu senza problemi.
Contro quanti avevano militato nell'esercito partigiano sloveno ci fu una campagna
particolarmente violenta per opera della formazione nazionalista semi legale del cosiddetto Corpo
dei Volontari della Libertà. In diversi casi dovette intervenire la giustizia, mentre diversi ex
partigiani si videro costretti ad emigrare in Jugoslavia ed in altri paesi, accusati di tradimento
e posti sotto processo e poi amnistiati molti anni dopo. Una seconda vicenda rappresentò un nuovo
dramma per le Valli del Natisone: fu quella dell'emigrazione di massa, un vero e proprio esodo
prima verso i paesi europei, poi verso quelli extra-europei: Canada, Australia, Nuova Caledonia,
Argentina, ecc. Dagli anni cinquanta in poi venne dato un generale impulso alla viabilità stradale,
in parte giustificato dalle aspirazioni turistiche, in parte dalle ragioni militari ed in parte
dovuto anche alla politica dei lavori pubblici per favorire le imprese e l'occupazione. Nell'arco
di dieci-quindici anni si raggiunsero risultati notevoli e molti paesi in quota, come Montefosca,
Mersino, Montemaggiore, Masseris, ecc., poterono finalmente essere raggiunti dai mezzi motorizzati.
Il beneficio immediato fu il miglioramento dell'abitabilità e dei servizi. In campo scolastico si
affrontò con decisione il problema linguistico, ma in senso contrario a quanto dettava la
costituzione repubblicana. Si attuò una fitta rete di scuole materne, gestite dall'Opera Nazionale
Italia Redenta. Esse provocarono un ulteriore abbandono della parlata slovena da parte dei bambini
e da parte delle famiglie, dove l'uso dell'italiano con i bambini divenne generalizzato. Vennero
costruite numerose scuole, ma il crollo demografico ne provocò qualche anno dopo la chiusura. Nel
1962 la scuola media divenne obbligatoria, con un indubbio beneficio per i ragazzi ai quali si
apriva la strada degli studi superiori.
Nel 1950 venne fondato l'Istituto Professionale di Stato di San Pietro al Natisone, che
qualificò muratori, falegnami e carpentieri. Nel 1975 Italia e Jugoslavia firmarono i trattati di
Osimo. Con questi venivano firmati diversi accordi economici, sulle comunicazioni viarie e sulla
tutela delle rispettive minoranze. Assieme a questo venne fissato definitivamente il confine fra i
due stati e si superarono così le riserve sul trattato di pace del 1947 e del memorandum di Londra
del 1954. L'ultimo dramma fu quello del terremoto. La sera del 6 maggio 1976, il Friuli venne
scosso da un sommovimento tellurico che raggiunse il decimo grado della scala Mercalli. I danni
nelle Valli del Natisone furono gravi. Vi fu un generale movimento di solidarietà da varie regioni
italiane, da paesi europei ed extraeuropei. Con i fondi degli USA, a San Pietro al Natisone fu
costruito un nuovo collegio. II parlamento italiano, sollecitato dai parlamentari friulani, trovò
l'unità necessaria per approvare le leggi atte ad iniziare l'immane programma di ricostruzione.
Venne fondato un Comitato di Coordinamento degli Aiuti. L'aiuto della Slovenia fu importante e
qualificato. La volontà di sopravvivere alla sciagura mobilitò nuove energie. Alla ricostruzione
degli abitati colpiti dal terremoto, seguì la fondazione di alcune aziende industriali a capitale
misto, con una significativa anticipazione degli accordi di Osimo. Nel frattempo il Comune di San
Pietro al Natisone e la Comunità Montana si impegnarono soprattutto nell'allestimento delle
infrastrutture necessarie alle nuove attività economiche. In questo fervore si verificò un
mutamento politico di rilievo. Venne cioè realizzata in alcuni comuni la cosiddetta alternanza,
ovvero la possibilità: che alla guida dei comuni giungessero schieramenti diversi. Ciò avvenne nel
1975 a Grimacco e a Savogna; nel 1980 a San Pietro al Natisone, nel 1983 a Drenchia.
NOTE Tratto "dall'Atlante toponomastico e ricerca storica" di Petricig Paolo e Zuanella
Natale a cura dell’Ufficio Urbanistico del Comune di San Pietro al Natisone con la collaborazione
del Prof. Giuseppe F. Marinig